Fine dell’equivoco

Una lunga strada davanti a noi

di Antonio Suraci*

Non amareggiamoci, non deponiamo le nostre insegne, ma riflettiamo con la serenità che la situazione richiede a tutti noi. Abbiamo, con grande correttezza, sostenuto una coalizione che ci ha, sino ad oggi, ospitato. Correttezza non premiata e che lascia spazio ad analisi e riflessioni.

Correttezza, da parte nostra, sofferta, e che, pur accettata, ha lacerato l’anima repubblicana di molti di noi. Si dice che la correttezza non sia uno dei principali elementi di cui è composta la politica. Noi, figli di una scuola democratica che ha fatto della correttezza il valore del vivere civile e politico e che ha sempre guidato i dialoghi tra noi e la destra, tra noi e la sinistra, non possiamo che prendere atto di come il vivere civile, in questi ultimi vent’anni, sia stato svuotato da tutti i valori su cui era fondata la nostra res publica. Non siamo figli dell’idealità, siamo solo uomini che agiscono con la trasparenza richiesta nell’interesse del Paese. La chiarezza delle nostre proposte e la forza delle nostre idee rappresentano un patrimonio che non possiamo svendere al primo commerciante che passa o al primo imbonitore di conti pubblici, o, tantomeno, a chi ha un’idea della liberaldemocrazia assai meno dignitosa di quanti che, pur alla ricerca del tempo perduto, comprendono l’attualità di alcuni studi di Marx. Noi non cerchiamo taxi su cui viaggiare. Quando la storia ci ha condannati a prendere un taxi abbiamo indicato all’autista la strada, troppo spesso però quell’autista ha sbagliato direzione perché offuscato da fumi egotistici, non certo per nostra responsabilità. Oggi, ci sentiamo sollevati perché il gioco degli equivoci è giunto a conclusione.

Equivoci esterni ed interni al nostro partito. Abbiamo lottato per avere una nostra rappresentanza parlamentare, una lotta che mai si è trasformata in semplice richiesta, ma sempre si è distinta per proposta politica e disponibilità ad operare nell’interesse del Paese, come da nostra tradizione. Oggi dobbiamo prendere atto del venir meno della correttezza auspicata e del fatto che altri sono gli stimoli che guidano le attuali coalizioni. Siamo fuori, ma non dalla storia. Questo grazie ai tanti amici che si sacrificano e si sono sacrificati perché l’Edera non appassisse. Se la storia degli ultimi anni ci può insegnare qualcosa è che ogni qualvolta i repubblicani si dividono, ogniqualvolta individuano in altro il salvatore, ogniqualvolta la leggerezza dell’analisi non li contraddistingue, i repubblicani sono fuori! L’attuale bipolarismo e la conseguente legge elettorale, entrambi vere vergogne della democrazia italiana, ci hanno costretti a scegliere, ancora una volta, un taxi, ma l’errore più grave è che altri, pur criticando la scelta di quel taxi, hanno lavorato per prenderne un altro nella consapevole presunzione di essere nel giusto. E anche quando alcuni di noi hanno avvertito dell’errore, quel taxi è stato preso lo stesso.

Oggi molti di noi comprendono che, anziché cercare trasporto esterno, se si fosse lavorato per un nostro viaggiare, anche a piedi e con i calzari, probabilmente saremmo orgogliosamente uniti.

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"Devi augurarti che la strada sia lunga./Che i mattini d’estate siano tanti /quando nei porti - finalmente e con che gioia – /toccherai terra tu per la prima volta…/ Sempre devi avere in mente Itaca -/ raggiungerla sia il pensiero costante…"

La nostra strada sarà lunga, e, dopo quanto accaduto, non prevedendo una lunga vita per la futura legislatura, toccheremo, per la prima volta e dopo molto tempo, terra. Il nostro pensiero dovrà essere rivolto alla riforma costituzionale, alla riforma di un nuovo modello di Stato in cui il corporativismo sia messo in disparte e dove il cittadino possa tornare al centro della nostra futura attenzione. La nostra Costituzione dovrà seguire le orme dell’Europa, non quell’Europa burocratica e finalizzata ad evitare ‘casus belli’, ma l’Europa dei popoli, l’Europa che, con saggezza e consapevolezza, elegga propri rappresentanti in sostituzione dell’ormai vetusta Commissione. Come dobbiamo porre termine, in Europa, alla stagione dei compromessi non finalizzati all’interesse comune, altrettanto dobbiamo fare perché ciò accada anche in Italia. La nostra Itaca è una società che sappia arricchirsi attraverso la realizzazione della solidarietà, della sussidiarietà e sulla responsabilità di ciascuno di noi. Un’Italia nova in cui la trasparenza dell’economia sia il collante tra i diversi attori sociali, in cui sia possibile esaltare il lavoro e renderlo umanamente accettabile. Un’Italia in cui non si continuino a pagare ricerche sulla disoccupazione e sul precariato, ma dove si sappiano risolvere i problemi già conosciuti e figli di un sistema politico ed economico distorto.

La domanda è se noi avremo un ruolo e che tipo di azione potremo svolgere. Domanda la cui risposta non può non partire da un forte chiarimento al nostro interno: con quale partito intendiamo rinnovare la nostra storica presenza. Oggi soffermarci sui contenuti, che abbiamo, seppur da approfondire in una diversa ottica e strategia, non serve allo scopo iniziale. Neppure serve allo scopo soffermarci su prototipi partitici che poco hanno a che fare con la nostra visione democratica. Né è utile allo scopo innamorarci di anchorman televisivi, piuttosto che essere noi comunicatori di noi stessi e delle nostre idee. L’informazione e la comunicazione sono i primi problemi da affrontare, approfondendo vieppiù le modalità complessive e senza innamoramenti dell’ultima ora. La comunicazione e l’informazione rappresentano un sistema e a questo deve essere rivolta la nostra attenzione. Certo è che noi si debba cambiare linguaggio, azione e sintesi. Cambiare significa anche individuare gli uomini, non per età ma per preparazione e per dedizione al lavoro politico che non sarà, almeno prevalentemente, da svolgersi a livello nazionale, bensì a livello territoriale. Rafforzare le strutture territoriali deve costituire il primo impegno per saper interpretare le problematiche e offrire le possibili soluzioni. Nessuno deve sentirsi mortificato a svolgere un tale ruolo: i problemi locali sono figli di quelli nazionali e la loro soluzione può passare anche dalle politiche europee. Alla dirigenza locale non è richiesto un impegno ‘localistico’ ma un impegno politico di più ampio respiro. Per tale motivo, tutte le strutture dovranno aggiornarsi nella metodologia del dialogo e delle decisioni che dovranno essere finalizzate alla realizzazione di un’ampia partecipazione, vero presupposto della democrazia, da cui far scaturire una nuova politica sulla rappresentanza, quest’ultima richiesta, con forza, dalla società civile.

Le nostre alleanze dovranno sorgere dalla condivisione dei valori e delle proposte, sempre e unicamente nell’interesse del bene comune. Certo potremo essere chiamati anche a superare crisi ‘intermittenti’ per la cui soluzione il nostro contributo potrà essere determinante. Noi non ci tireremo indietro se la nostra partecipazione sarà finalizzata allo scopo, ma non dovrà più essere giustificativa della nostra incapacità a rappresentare quella minoranza sociale chi ci presta o presterà la propria attenzione. Un piccolo partito deve essere propositore e consequenziale alle proposte avanzate, ma prima che ai possibili e probabili alleati, le proposte dovranno essere sottoposte, attraverso la rinnovata partecipazione/rappresentatività alla società civile.

La ‘strada sarà lunga’ e non potrà che essere percorsa insieme. La stagione che si apre sarà impegnativa soprattutto sul versante istituzionale, nostro abituale ambito, e sarà nostro dovere ricomporre quella babele repubblicana che sino ad oggi ci ha costretti a parlare con diversi linguaggi.

Questa è la nostra sfida, questa è l’unica strada che siamo obbligati a percorrere forti delle nostre idee, dei nostri studi, delle nostre proposte, una strada non priva di regole, il rispetto delle quali dovrà fungere da esempio per chiunque voglia percorrere un tratto di strada con i repubblicani.

*Capo segreteria politica Pri